Per più di un decennio Johnson è stato sinonimo di incassi record e leggerezza muscolare. Oggi, il nuovo film segna una resa dei conti con se stesso.

Dwayne Johnson non è mai stato un personaggio statico. Fin dagli esordi sul ring, quando il nome “The Rock” risuonava come una promessa di potenza e spettacolo, il suo percorso è stato una collezione di trasformazioni. Prima icona del wrestling, poi campione del box office, infine figura di riferimento della cultura pop globalizzata. E ora, con The Smashing Machine, si affaccia a un territorio che sorprende anche chi lo conosce bene: quello della vulnerabilità, delle crepe, delle battaglie interiori.

Carisma e muscoli

Per più di dieci anni Johnson ha incarnato un’idea di cinema d’azione fatta di spalle enormi e sorrisi disarmanti, un equilibrio di carisma e muscoli che gli ha permesso di dominare Hollywood come pochi nella storia recente. Era l’uomo che trasformava qualunque franchise in un successo, il talismano che faceva lievitare budget e incassi. Perfino le sue scelte più leggere, come i film per famiglie o le avventure esotiche, portavano il suo marchio: un’energia positiva, quasi contagiosa, che sembrava l’opposto della fragilità.

Il punto di svolta

Eppure, negli ultimi anni, qualcosa si è incrinato. Non necessariamente in senso negativo, ma in quella maniera sottile in cui gli imperi, raggiunto l’apice, iniziano a diversificare per necessità. Secondo alcuni osservatori di Hollywood, Johnson avrebbe iniziato a percepire il rischio di diventare una caricatura di se stesso, prigioniero del ruolo dell’indistruttibile buono. Alcuni rumor insistono sul fatto che persino nelle trattative per i suoi film fosse attento a non mostrare debolezze o sconfitte dei personaggi, come se l’immagine costruita faticosamente dovesse rimanere intatta a ogni costo. Una corazza perfetta, forse troppo.

È proprio per questo che The Smashing Machine rappresenta un punto di svolta. Il progetto, che ricostruisce la vita del leggendario fighter Mark Kerr, richiama un Dwayne Johnson diverso, più interessato al dramma umano che al colpo finale sensazionalistico. Si parla di un Johnson dimagrito, scavato, impegnato in un lavoro di sottrazione più che di aggiunta. Un’interpretazione che mostra dipendenze, cedimenti, ferite aperte. Non a caso, vicini alla produzione raccontano di un set intenso, emotivamente complesso, dove l’attore sarebbe apparso “insolitamente silenzioso” nei momenti di pausa, quasi a voler restare immerso nel tumulto interiore del suo personaggio.

La parabola di Johnson

Il film sta già generando aspettative notevoli non solo tra gli addetti ai lavori ma anche tra i fan che da anni seguono l’evoluzione di The Rock. C’è chi parla di una possibile svolta “da Oscar”, chi vede nella collaborazione con un regista più autoriale un modo per riposizionare la sua carriera verso orizzonti meno prevedibili. E c’è chi mormora che questo ruolo sia per lui una forma di autoanalisi: un modo per guardare dentro gli anni di pressione costante, gli obblighi contrattuali, il peso della propria immagine pubblica.

Ripercorrendo la parabola di Johnson, emerge un dettaglio che spesso passa inosservato: la sua capacità di trasformarsi è sempre stata il suo vero superpotere. Non i bicipiti, non i catchphrase immortali, ma la volontà di reinventarsi. Dal giovane wrestler figlio d’arte alla star più pagata del mondo, dall’uomo immagine dei blockbuster alle incursioni nel business del fitness, del tequila e della tv, ogni passaggio è stato un tassello di una narrazione sempre in movimento.

The Smashing Machine

Con The Smashing Machine, questa metamorfosi assume un significato nuovo, forse più maturo. Johnson sembra voler dimostrare che, oltre la superficie perfetta del personaggio pubblico, esiste un artista ancora capace di rischiare. La leggerezza muscolare lascia spazio a un peso diverso, più interiore, fatto di scelte non sempre facili e del coraggio di guardarsi allo specchio senza filtri.

Forse è proprio qui che risiede l’evoluzione di un gigante pop: nel momento in cui abbassa le difese e, per la prima volta da molto tempo, lascia intravedere ciò che c’è oltre il mito di The Rock. Una sfida che potrebbe ridefinire non solo la sua carriera, ma anche la percezione che il pubblico ha di lui. Perché anche i colossi, a volte, hanno bisogno di frantumare la propria immagine per ricominciare a costruirsi da capo.

Dario Lessa