I chatbot stanno sostituendo genitori e amici? I dati rivelano perché i giovani preferiscono parlare con un algoritmo, tra fragilità, cyberbullismo e bisogno di ascolto

Altro che “ragazzi distratti dal telefono”: la generazione Z apre il cuore all’Intelligenza Artificiale e lo fa con una naturalezza che spiazza. E la sorpresa più grossa non è nemmeno l’uso massiccio dei chatbot, ma è lo squilibrio emotivo tra maschi e femmine. I ragazzi si piaggiono, le ragazze no. I primi viaggiano su un 71% di soddisfazione personale, le seconde si fermano al 50%. E quando si parla di equilibrio psicologico, la forbice diventa un cratere: due ragazzi su tre stanno bene, poco più di una ragazza su tre dice la stessa cosa. Un abisso. Dentro questo scenario già sbilanciato entra l’IA, che diventa confidente e rifugio. E il perché è chiarissimo: ascolta più delle persone.

Il digitale come confidente: sempre sveglio, sempre gentile, sempre lì

Il 92,5% degli adolescenti usa strumenti di IA. Una routine, non una novità. E quasi la metà di loro si è rivolta all’IA nei momenti di tristezza, ansia o solitudine. Un numero praticamente identico l’ha cercata quando servivano consigli sulle scelte che contano davvero: relazioni, scuola, futuro. La ragione è spiazzante nella sua semplicità: l’IA è disponibile 24 ore su 24. È educata e paziente. E non giudica. Un tipo di ascolto che, nell’adolescenza, fa comodo.

Mentre i quindicenni conversano con ChatGPT come fosse normalissimo, più della metà degli adulti non usa mai l’IA. È un dialogo tra sordi: i giovani viaggiano a velocità doppia e il risultato è che gli adolescenti cercano risposte dove le ottengono, non dove dovrebbero.

Una generazione che naviga tra fragilità invisibili

Il rapporto con l’IA non nasce nel vuoto. Dietro c’è una generazione che affronta solitudini nuove, pressioni forti e una fragilità spesso sottovalutata. Quasi metà di loro ha subito cyberbullismo. Uno su otto ha usato psicofarmaci senza prescrizione, con numeri più alti tra le ragazze. E la dipendenza digitale è ormai una costante: più di un terzo controlla il telefono anche quando è in compagnia, come se la realtà non bastasse mai. È un equilibrio traballante che l’IA non risolve, ma tampona.

Le differenze di genere si riflettono anche nel modo in cui l’IA viene vissuta. I ragazzi, più sicuri e meno inclini a riconoscere fragilità, cercano risposte rapide e neutre. Le ragazze, più esposte alla pressione sociale e al giudizio, usano l’IA anche come spazio emotivo, un luogo dove sfogarsi senza sentirsi valutate.

Non basta un algoritmo per colmare un vuoto umano

Questi dati emergono da una ricerca di Save the Children che sottolinea come l’IA non è il problema, ma il sintomo. Se un adolescente trova più conforto in un chatbot che in un adulto, c’è un sistema che ha smesso di ascoltare. Servono dunque più servizi psicologici, una scuola che sappia parlare di sentimenti e relazioni senza imbarazzi. Infine, non meno importante, servono spazi reali dove i ragazzi possano ritrovarsi senza filtri.

A cura di Tiziana Cialdea