
Anita Pomario: “Ho imparato a essere fragile, recito perché è l’unica cosa che so fare” (INTERVISTA)
Abbiamo intervistato Anita Pomario, che dal prossimo 8 maggio esce nelle sale con il film L’amore che ho sulla storia di Rosa Balistreri
Intervista ad Anita Pomario
Per inseguire la sua passione Anita Pomario lascia l’Italia sin da giovanissima. Ha appena 18 anni quando parte con una valigia carica di sogni alla volta di New York, dove inizia la sua formazione alla Neighborhood Playhouse School of The Theatre.
Per dare nuova linfa alla sua crescita artistica si trasferisce poi a Londra, dove consegue un Master in Teatro Sperimentale presso la prestigiosa Royal Academy of Dramatic Art. Il teatro diviene pian piano la sua casa e Anita calca importanti palchi internazionali collezionando ruoli altisonanti come ad esempio quello di Giulietta nel Romeo e Giulietta diretto da Sean Hagerty negli Stati Uniti.
Anche al cinema e in tv Pomario si fa apprezare per le sue interpretazioni. È tra le protagoniste de Le sorelle Macaluso, pellicola diretta da Emma Dante che conquista la critica e il Premio Pasinetti per il Miglior Cast alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia.
Dal 8 maggio Anita Pomario è al cinema con L’amore che ho sulla storia di Rosa Balistreri, leggendaria voce della canzone popolare siciliana. Anita regala al pubblico un ritratto autentico di un’artista straordinaria che ha fatto della resilienza e del coraggio la sua cifra.
“Rosa Balistreri viene definita la cantautrice del sud. È una donna che ha portato avanti la storia della sua terra attraverso la sua voce e il suo urlo, estremamente intenso e reale“, ha raccontato l’attrice. Ciak Generation ha incontrato Anita e ha scoperto qualcosa in più della sua storia e della sua carriera.
D: La storia di Rosa Balistreri è per certi aspetti molto drammatica. È stato difficile riuscire a lasciare quel dolore sul set e non portarlo a casa?
R: Molto difficile. Il film ripercorre la storia di Rosa da quando è una bambina, racconta il modo in cui cresce in questa famiglia estremamente patriarcale in un società del sud molto legata a regole patriarcali. E racconta la storia di una ragazza che vuole ribellarsi e che ha un fortissimo senso di giustizia, intesa come giustizia morale. Rosa non aveva paura di lottare per ciò che pensava fosse giusto. È stato molto difficile per me affrontare determinate scene. Rosa è cresciuta nella violenza, nella solitudine. Si è ritrovata molte volte da sola a combattere queste ingiustizie. Però mi ha aiutata tanto a capire che cosa significa avere la forza di andare avanti e non arrendersi alle regole che alle volte ci vengono imposte. Quando lavoro mi piace darmi al 100% e immergermi in quello che faccio, perciò dividermi è stato difficile. Sono riuscita a farlo grazie all’aiuto della memoria di Rosa. Mi sono sentita accompagnata dalla sua figura durante le riprese. Aver avuto la sua figura accanto che mi teneva la mano da lontano è stato molto confortante.
D: È una storia che racconta una realtà, quella patriarcale, che esiste ancora. La storia di Rosa Balistreri parla anche alle giovani generazioni?
R: Sì, assolutamente. La storia di Rosa purtroppo è la storia di un’infinità di donne in giro per il mondo. Questo è assurdo, se pensiamo che siamo nel 2025 e che Rosa Balistreri è nata quasi 100 anni fa. Ritrovarsi ancora oggi a parlare delle stesse cose è diventato davvero stancante. Non dovrebbe più esserci questo tipo di esempio. Ha passato una vita d’inferno, non è stata felice. È stata una vita fatta di dolori e di delusioni. L’esempio che ci dà Rosa è quello di una donna che ha deciso di lottare fino alla fine con la consapevolezza che questo lottare le avrebbe portato più dolore che altro. L’esempio non deve darcelo Rosa ma i famigliari che non avrebbero mai dovuto fare quello che hanno fatto, il marito che l’ha stuprata e che non avrebbe dovuto stuprarla. Rosa avrebbe meritato di vivere una vita più serena e dedicarsi alla sua arte come hanno potuto fare altri suoi colleghi. La sua storia non è un esempio, è una testimonianza.

D: Il tuo lavoro arriva dopo anni di studi e di formazione, prima a New York e poi a Londra. Quanto sono stati formativi quegli anni, sia da un punto di vista professionale che personale?
R: Per me andare via dall’Italia così presto, avevo 18 anni, è stata una sfida grandissima a livello personale che mi ha insegnato paradossalmente come essere fragile. E oggi mi sento più fragile rispetto a quando avevo 18 anni. Scendere a compromessi con la fragilità, accettarla e renderla benvenuta nella vita di tutti i giorni è stata una grande sfida. In un certo senso è più facile dire ‘sono pronta a tutto’. Arrivare a dire ‘Voglio essere più gentile con me stessa, voglio conoscere i miei limiti e accoglierli’ è molto più difficile. Questa è una cosa che ho imparato in tanti momenti di solitudine che ho vissuto all’estero. Dal punto di vista professionale l’aver visto cosa c’era fuori mi ha fatto capire anche cosa non volessi fare. Quando ero a New York ho capito che il tipo di teatro che si faceva in America non era quello che piaceva a me. Sono stati anni di profondo ascolto di me stessa e delle cose che a me interessavano. Grazie a queste esperienze oggi sono in grado di capire molto meglio qual è la mia strada e per cosa è giusto che io lotti e investa la mia carriera.
D: Non si può parlare di te senza menzionare il teatro, che ti ha portato anche a calcare palchi internazionali. Che emozione provi ogni volta ad andare in scena?
R: Per me ogni occasione per sperimentare il ‘qui e ora’ è una piccola magia. Ho avuto la fortuna di salire sul palco in tantissimi luoghi diversi. Una delle ultime esperienze che ho fatto è stato interpretare Giulietta a New York. È stato bellissimo al di là del posto in cui ero perché per la prima volta ho avuto la possibilità di fare tante repliche e di andare in scena ogni sera. Lì è un duello con te stessa. Anche quando sei stanca e non te la senti devi tirar fuori la grinta.
D: Lo spettatore più prestigioso che hai avuto a un tuo spettacolo?
R: Ultimamente ho avuto il piacere di partecipare al premio Wondy, serata organizzata da Luca Dini, che mi ha invitato a leggere dei testi in una serata per la lotta contro il cancro. Ho saputo che nel pubblico c’era Alessandro Baricco. Questa cosa mi ha riempito di gioia perché ho saputo che aveva apprezzato la mia lettura. E poi ti dirò una cosa banale, ma tante volte lo spettatore più importante per me è un amico che non mi aspetto, mio fratello o quella persona a cui dedichi quello che fai in quel momento.

foto di Julia Morozova
D: Hai sempre trovato appoggio intorno a te?
R: Assolutamente. Sono stata fortunatissima nella mia vita perché la mia famiglia ha sempre accettato senza riserve la mia strada. Mi è sempre stata accanto da lontano. Ero sicura che, se fossi caduta, ci sarebbero stati tanti cuscinetti. Sono sempre stata molto indipendente nelle mie scelte e anche molto testarda nelle cose che volevo fare. Non hanno preso in considerazione l’idea che potessi fallire. La fiducia che hanno riposto in me mi ha aiutata tantissimo a prendere le scelte che ho preso. Mi hanno sempre messo in discussione in maniera costruttiva. Senza il supporto della mia rete familiare non sarei dove sono oggi.
D: Qual è il primo film che ti ha acceso la passione per la recitazione?
R: Non credo sia stato un film. Recito perché è l’unica cosa che so fare, lo considero un modo per comunicare ed esprimermi. Sicuramente un film che mi ha fatto cambiare sul cinema è stato Mulholland Drive di David Lynch. È stata la prima volta in cui ho pensato che ci fosse dall’altra parte qualcuno che cercava di dire qualcosa al mondo.
D: Se pensi al cinema qual è il primo attore o la prima attrice che ti viene in mente?
R: Ti dico questo nome perché ho visto un film con lei qualche giorno fa e ho detto ‘Wow, quanto è brava questa attrice’: Annette Bening. Era da un po’ che non la vedevo in un film ed è incredibile. Poi se mi dici ‘attrice’ penso a Isabelle Huppert e Helen McCrory.
D: Progetti futuri?
R: Adesso inizierò un periodo bellissimo di residenza in Emilia Romagna con un progetto teatrale mio. Si chiama Notturno 264 e collaborerò con il mio collega Tommaso Giacomin. È una performance che farò da sola, scritta da me. Ho vinto questo bando molto importante che si chiama ‘Reduci’ e sono felicissima e spaventatissima di questa cosa. Spero di poter portare questo spettacolo in giro per l’Italia. A livello cinematografico ci sono delle cose in ballo ma non posso dire niente.
D: La tua serie tv preferita?
R: Te ne posso dire solo una? Non è come Letterboxd che te ne dà almeno quattro? (ride, ndr). Ti direi Breaking Bad, Twin Peaks e poi sono indecisa tra The O.C. e Friends. The O.C. è la mia adolescenza vissuta a sognare di uscire con Seth Cohen. Invece Friends è la serie che ti tira su il morale nelle sere in cui non riesci a dormire.